Un fenomeno recente legato alla comunicazione online è l’hate speech o discorsi d’odio. Se utilizzi Facebook ti sarà di certo capitato di vedere commenti e post dispregiativi o intimidatori nei confronti di un singolo o di un gruppo di persone.
Negli ultimi anni alcune aziende hanno deciso di interrompere le campagne pubblicitarie, in particolare su Facebook, perchè secondo loro la piattaforma non stava facendo i giusti controlli su pagine e commenti. Al boicottaggio hanno partecipato grandi aziende come Coca Cola, Unilever e Patagonia. Ma è davvero servito a qualcosa?
Cosa si intende con hate speech?
(..) il termine “discorso d’odio” (hate speech) deve essere inteso come l’insieme di tutte le forme di espressione che si diffondono, incitano, sviluppano o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo ed altre forme di odio basate sull’intolleranza e che comprendono l’intolleranza espressa attraverso un aggressivo nazionalisno ed etnocentrismo, la discriminazione, l’ostilità contro le minoranze, i migranti ed i popoli che traggono origine dai flussi migratori.
(Raccomandazione n.20/1997 del comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.
Un fenomeno sempre più diffuso, composto da parole, immagini, filmati e simboli aggressivi o intimidatori in riferimento alla razza, religione, orientamento sessuale, caricati sul web e ri-condivisi milioni di volte. Messaggi che hanno il fine di danneggiare e umiliare gruppi specifici di persone, spesso minoranze, promuovendo disprezzo e disinformazione.
Hate speech e Facebook: come è nata la vicenda
La vicenda scoppia nel 2020 con la morte di George Floyd e le proteste che dalle strade delle città americane si sono spostate anche verso i social network, in particolare Facebook. Le minoranze etniche americane hanno messo sotto accusa la piattaforma di Mark Zuckerberg, colpevole secondo loro di diffondere notizie su odio razziale e discriminazione senza alcun controllo. Da qui l’escalation: nasce Stop Hate For Profit (campagna ancora in corso) alla quale aderiscono più di 200 aziende insieme a numerose associazioni per i diritti civili.
Hate speech: cosa ha fatto Facebook finora
I progressi si vedono: non solo quando nel 2019 Facebook ha oscurato gli account di Casa Pound o quando nel 2021 ha bloccato l’account di Donald Trump.
A fine 2017 gli strumenti di rilevamento automatico erano in grado di identificare meno del 24% dei contenuti di odio e da allora la percentuale è cresciuta costantemente fino al 94,8% nel 2021. Ovviamente l’intelligenza artificiale non sostituisce le persone nell’opera di fact-checking, ma le affianca con un indispensabile lavoro complementare. I software di analisi permettono di “pulire” la piattaforma dai contenuti nocivi, spesso, ancor prima che un utente faccia una segnalazione. Sono in grado di processare enormi volumi di dati, non gestibili da un team di persone, per quanto esteso. E quello di Facebook sicuramente lo è: attualmente si contano circa 35 mila collaboratori impegnati nella revisione dei contenuti.
Hate speech: la cantonata con la guerra in Ucraina
Il dubbio che il boicottaggio non sia servito gran che ci è venuto quando Meta ha annunciato che avrebbe permesso agli iscritti Facebook e Instagram in alcuni paesi (Armenia, Azerbaigian, Estonia, Georgia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Russia, Slovacchia e Ucraina) di postare contenuti contro l’esercito russo che ha invaso l’Ucraina, anche post che incitano all’uccisione degli invasori e i loro capi. Meta, riporta Reuters, avrebbe deciso di allentare anche la censura sui post che invocano la morte per Vladimir Putin e Alexandr Lukashenko.
In una situazione tanto delicata a molti, non necessariamente filo-russi, questa è sembrata l’ennesima mossa che spinge gli utenti verso una dicotomizzazione, che manipola l’opinione pubblica
“A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, abbiamo temporaneamente concesso forme di espressione politica che normalmente violerebbero le nostre regole. Ad esempio, post violenti come l’invocare la ‘morte agli invasori russi’. Non consentiremo nulla che riguardi la promozione della violenza contro i civili russi” ha affermato un portavoce di Meta.
Troppo facile dire che si vuole “proteggere la libertà di parola come espressione di auto-difesa di un popolo in reazione all’invasione militare del proprio Paese”, quando si è più che consapevoli della potenza dei social sulla formazione dell’opinione del volgo.
Facile anche la reazione russa che attraverso l’ufficio del procuratore generale russo ha chiesto Meta venga riconosciuta come organizzazione estremista. “Quello che Meta sta facendo è chiamato ‘incitamento all’odio razziale, che nella legislazione russa si qualifica come estremismo”, ha detto il vicecapo del comitato russo sulle tecnologie e le comunicazioni, Anton Gorelkin.
La preoccupazione è unanime. Il portavoce dell’Ufficio dell’Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite si dice preoccupato per il potenziale cambio policy. Si tratta di un precedente che potrà essere troppo facilmente applicabile in molti altri contesti senza una regolamentazione esterna all’azienda e che sia comune a tutti i social network.
Quindi? Boicottare Facebook è servito?
Qui il dibattito si può allargare su più temi:
- Certamente il boicottaggio da parte delle aziende ha sollevato un grande dibattito sul tema del discorso d’odio e libertà di espressione. Dibattito che continua ad accendersi ogni volta che scoppia un caso, oppure quando un personaggio influente se ne esce con un’affermazione non consona.
- La pressione sulle piattaforme social è stata tale che hanno iniziato a muoversi, alla ricerca di nuovi modi per controllare i contenuti pubblicati. I risultati in tal senso? Scarsi, secondo le associazioni, Facebook non fa ancora abbastanza per fermare i discorsi d’odio, c’è da dire che il blocco all’account di Donald Trump è avvenuto alla fine di quattro anni pieni di fake news e post dubbi. E il caso Russia ne è la prova lampante
- Per quanto riguarda le numerose aziende che hanno boicottato Facebook, ad oggi, sono tornate a fare sponsorizzate e a spendere soldi per la pubblicità su queste piattaforme.
Se vogliamo vedere il lato positivo, il tema si è innescato e forse ha fatto riflettere alcuni utenti della piattaforma.
Se vogliamo invece essere cinici le aziende hanno cavalcato questo tema per obiettivi strategici e di immagine. Nella pratica a molte di esse interessa ben poco l’hate speech: infatti sono tornare a utilizzare Facebook per la pubblicità. E lo faranno anche in questo frangente.
Perchè nel bene e nel male i social network sono il luogo virtuale in cui le persone passano in media più di 2 ore al giorno e dove le aziende, anche la tua, possono incontrarli (non scovarli, non tormentarli) e parlare con loro.